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Alessandro Reggioli

Museo Archeologico e Anfiteatro Romano di Fiesole

20 settembre -2 Novembre

Ho incontrato molti artisti che lavoravano col cuore, ma mai ne avevo incontrati che lavorassero sul cuore. Alessandro Reggioli, giovane e acuto fiorentino, ma già felicemente in corsa verso la fama, è questo artista.

Ho anche spesso sentito dire che il cuore è una capanna, ma mai che il cuore è un’armatura, come si definiscono – vedremo - i cuori di Reggioli.

Usciamo ora da allegre, ma qui non improprie, battute di spirito (critico) tanto più che lontane dal sentimentalismo tradizionale legato alle faccende del cuore, queste opere di Reggioli parlano un linguaggio che dall’ anatomia (rispettata) si trasforma ed evolve verso la plastica espressività dell’arte.

Prima di questo ciclo Reggioli era un artista senza cuore. Aveva altri pensieri, altre immagini nella mente. E siccome egli lavora con una severa inflessibilità programmatica, queste idee si sono calate in precisi e categorici (di modelli, non di gusto) cicli espressivi. Due i più importanti: il ciclo dei pittorici portali rinascimentali; poi, l’altro ciclo, la magia del volo e degli aerei.

Riservato ma attentissimo a quel che accade nel mondo non solo dell’arte, Reggioli non è, con i suoi verdi trentotto anni un artista troppo esibito: poche le mostre, ma clamorosi i risultati in cui appunto ha via via presentato questi cicli pittorico-scultorei. Certaldo, Bondeno, Fiesole sono state le maggiori tappe pubbliche (con un incursione felice in Canadà) e tutte negli anni Duemila, (anche se, giovanissimo, esponeva già in Accademia)

Reggioli è nato a Firenze, il suo curriculum è, stranamente (per uno come lui), pacificamente canonico: Liceo Artistico, poi Accademia di Belle Arti. Fra i suoi maestri Giulietti e quell’Alessandro Nocentini,poeta elegantissimo dei fiori sfioriti. Da loro Reggioli ha preso solo quello che gli serviva. Come ha fatto ripensando Schiele e il cubismo (molto meditati),- oltre s’intende tutti i grandi maestri della tradizione - ma di cui restano solo intelligenti quanto fortuite tracce nei suoi lavori. Azzarderei addirittura che Reggioli è un artista senza maestri, perché averli tutti equivale - alla lettura critica- nessuno.

Reggioli è un artista materico (perfino polimaterico), ma lo scheletro del suo operare è squisitamente simbolico, o meglio etico-simbolico, figlio anch

e di una passione esistenziale però frenata da un caparbio raziocinio.

Il suo primo ciclo. Bellissimi, per suggestione espressiva e sinfonia costruttivo-scenografica i suoi portali rinascimentali. Alte e sonore architetture, e al centro, senza un contorno, un campeggiante portale, con stucchi eleganti sui bei timpani rinascimentali. C’è, davvero, la maestosa, solenne sobrietà geometrica del murare fiorentino, c’è dunque il gusto del mondo in cui è nato, colto nella sua epoca più sublime. Ma, attenzione, i portali sono aperti e ciechi, dipinti d’un nero buio assoluto: sono - ci dice Reggioli - un passaggio verso l’ignoto. Ciclo dunque d’un artista che ha guardato la sua terra; che tende alla pittura-scultura ricca di materia; che mette, nelle cose che rappresenta, il sigillo segreto di un simbolo.

Già in questo primo originale ciclo Reggioli imposta il suo fare, sempre molto essenziale, anche un gusto scenografico, a un fare largo, che resterà una delle sue più accattivanti caratteristiche.

Poi Reggioli – il cui impegno è e resta sempre l’uomo, alza l’occhio verso il cielo e siamo al secondo ciclo pittorico, ma non solo, infatti ogni opera si arricchisce di una sintassi multipla, di un coacervo di elementi anche scultorei che ne fanno quasi dei materici murales.

Il ciclo si intitola (sancito da una felicissima mostra) “Fly station”.

Ho detto: guarda al cielo; ma meglio va precisato che nel cielo l’artista vede, immagina e guida quelle fragili cose che sono gli aeroplani. Reggioli pratica nella vita il volo su aliante, dunque conosce l’ebbrietà felice del navigare sospesi silenziosamente nello spazio azzurro, finalmente liberi. Staccarsi da terra per poi ritornarvi.

Ed ecco queste opere dove su una grande superficie bianca, o segnata da razzature cromatiche, stanno, sculture minuscole e fragili i suoi piccoli aerei di carta o di legno non importa, ma segni di una libera vittoria ,virgole di presenza, refoli di vita nel silenzio immenso. Queste topografie pittoriche del cielo solcato, hanno - dal punto di vista dell’arte - una totale originalità d’impianto, seppure rammentano un’eco decisiva. Quella che lega la riflessione di Reggioli all’opera di Leonardo da Vinci (legame che tornerà nel ciclo dei “cuori”).

La magica libertà miracolosa del volo l’artista dunque va a coglierla e a meditarla alle sue origini. Appunto alle prime geniali prove del volo umano compiute da Leonardo. E i grandi “telari”(termine che rubo alla pittura veneziana) di Reggioli cantano, per dir così, passato e presente in un coniugato accento fra spazio rappresentato e simbolo, fra pittura e scultura.

Ma ecco la mostra odierna, la più ricca, matura e novatrice di questo artista. Ed eccoci ai cuori di Reggioli.Davanti a queste straordinarie opere in cui l’artista, come è stata giustamente detto “conferisce senso di energia centrifuga all’interno di una possente scultura”, tanti pensieri vengono all’osservatore, ma diversi da quelli che normalmente la parola “cuore” suggerisce. Non ci aiuta Pascal col suo notissimo “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce” Perché questi “oggetti-sculture” sono veri cuori che traggono dalla fedeltà all’anatomia una sostanza che però subito si trasforma in espressività volumetrica, tattile e di immagine.

Perché i cuori?, del cui modello ha già costruito oltre cinquanta modelli-oggetti, ognuno con la sua diversa tipologia e le sue differenti dimensioni( si passa da cuori-scultura di una decina di centimetri a il grande cuore di quattro metri che dominava lo spazio di una sua mostra). Cuori, fatti tutti a mano prima in resina poi in bronzo, ma anche in altre materie, composti da un numero - fino a venticinque, trenta - di pezzi che assemblano l’insieme. Cuori smontabili, cuori “veri”, cuori che finalmente non pulsano, ma possiedono tutte le parti necessarie alla fondamentale azione cardiaca vitale.

Perché, dicevo, i cuori? Reggioli non è artista di molte parole, preferisce il fare, con una manualità straordinaria che lo assiste e porta a compimento la sua idea. Ma mi pare di aver capito che proprio questi cuori serbano in sé un valore vitalesimbolico come ogni altra opera di questo artista.

Dunque la risposta, le risposte possono essere diverse: un albero, il pittore lo vede e poi, dipinto, chi lo osserva lo riconosce. Non così per il cuore che è un “dono” che tutti gli uomini hanno, portano in sé, batte, spaura, entusiasma, ma non si vede mai. Qui torna l’eco leonardesca che è frutto di un lungo dialogo fra il nostro artista e il grandissimo scienziato-pittore. Anche Leonardo, anatomista geniale ci ha lasciato disegni di un cuore umano (quello di una donna affetta da una malattia cardiaca), sebbene poi lo abbia nascosto sotto la bellezza misteriosa della sua “Gioconda”. Reggioli ha fatto invece un’operazione concettuale e posmoderna, quasi pop, ha isolato il cuore e lo ha portato all’evidenza della sua pura forma, ne ha fatto -insomma - una scultura. Il cuore per sua natura batte sempre, Reggioli lo ha fermato in una immobilità, nel bronzo, ma vivo, forse mai così vivo.

Confessa ancora Reggioli che proprio questa forma anatomica lo ha portato a pensare: il cuore anatomico ha una forma curiosa e singolare, ma bellissima, che può ricordare altre forme d’arte, per esempio una scultura di Moore.

Questi “cuori-capolavoro” non debbono solo esser guardati, devono essere anche toccati, col loro peso e la loro difficile asimmetria: devono essere tenuti in mano. Si suol dire “ col cuore in mano”, un giovane artista con un notevole colpo d’ala, ce li mette fisicamente finalmente davvero in mano, nella loro nuda pochezza e nel loro immenso mistero di motori umani. Sono insieme un pezzo dell’uomo e un pezzo dell’arte.

Ogni artista,in fondo rappresenta il vero, ma sempre dipinge o modella quel di più del vero che non si vede. Reggioli scolpisce quello che non si vede ma che ognuno porta in sé. Nella traduzione letterale e materiale di questo concetto l’artista, ora e qui, assomma uno straordinario e misterioso significato davvero esistenziale (un’esistenza che per vivere pulsa).

Infine: i cuori smontabili di Reggioli non sono sculture “piene”, nel senso che la morfologia scultorea vuole essere e risulta piuttosto un “guscio“, una “armatura”. Ogni cuore, suggerisce Reggioli, è un’armatura, che nel modellarla , l’artista suggerisce all’osservatore di toglierla, di ritrovare la semplice e sublime realtà che la governa e che dà vita alla vita.

Volete concludere che Reggioli è un artista concettuale? Che è un fabbro invece della grande tradizione degli artefici rinascimentali? Che è un doloroso e silenzioso umorista postnovecentesco? La risposta sta a chi osserva queste opere certo fra le più originali,riuscite, e espressivamente significative fra quanto la tanto escogitativa arte di oggi è riuscita a mettere sul tavolo della nostra contemporaneità.

Perché questi cuori sono opere davvero “belle” e perdonate l’uso di una parola ormai bandita dalla critica d’arte.


Pier Francesco Listri


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